Di seguito un breve riassunto delle due relazioni, dedicate, rispettivamente, al distacco e alla codatorialità. Il distacco Come noto, l’art. 30, comma 1° del D. Lgs. n. 276/2003 configura il distacco allorquando un datore di lavoro (detto distaccante), per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di un altro soggetto (il distaccatario) per l’esecuzione di una determinata attività lavorativa. Secondo le ricostruzioni più accreditate, tre sono le condizioni per il distacco: a) l’interesse del datore di lavoro distaccante a che il lavoratore svolga la propria prestazione presso il datore di lavoro “ricevente”, detto distaccatario; b) la temporaneità della prestazione di lavoro presso il distaccatario; c) la titolarità in capo al distaccante del rapporto di lavoro, che allora permane quale obbligo retributivo e contributivo mentre il potere direttivo e di controllo si trasferisce in capo al distaccatario. L’articolo 30 del D. Lgs. n. 276/2003 parla dunque di un interesse proprio del datore di lavoro, ma non lo qualifica. Tale interesse va allora individuato nell’interesse tipico che ha trovato realizzazione con la costituzione del rapporto di lavoro, cioè quello alla utilizzazione della prestazione lavorativa da parte dell’imprenditore distaccante. Il lavoratore distaccato, in altri termini, presta la propria attività lavorativa presso la sede di un altro imprenditore, diverso da quello che lo ha assunto, ma lo fa per soddisfare comunque l’interesse aziendale di quest’ultimo. Anche la giurisprudenza ha confermato questo orientamento affermando che il distacco è lecito quando lo svolgimento dell’attività lavorativa a favore del distaccatario consente la realizzazione dello scopo dell’originario contratto di lavoro stipulato tra distaccante e lavoratore (Cass. n. 7517/2012). In tale contesto, il D.L. n. 76/2013, convertito con modificazioni dalla L. n. 99/2013, ha inserito il comma 4 – ter all’art. 30 cit. che così dispone: «Qualora il distacco di personale avvenga tra aziende che abbiano sottoscritto un contratto di rete di impresa, l’interesse della parte distaccante sorge automaticamente in forza dell’operare della rete, fatte salve le norme in materia di mobilità dei lavoratori previste dall’articolo 2103 del codice civile». La disposizione da ultimo riportata ha introdotto una disciplina speciale del distacco per le imprese che sottoscrivono un contratto di rete, introducendo una “presunzione assoluta” di interesse dell’impresa in rete al distacco di lavoratori presso un’altra impresa retista: conseguenza evidente di tale novità è che l’interesse dell’imprenditore distaccante in rete non deve essere provato, rendendo superflua ogni indagine in merito all’accertamento dello stesso e così marcando una importante differenza con il distacco ordinario, laddove l’interesse dell’impresa distaccante non può essere considerato acquisito ma deve essere dimostrato e provato. Il dettato normativo ha ricevuto conferma con la Circolare del Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale 29 agosto 2013 n. 35: qualora il distacco di personale avvenga tra imprese in rete «ai fini della verifica dei presupposti di legittimità del distacco, il personale ispettivo si limiterà a verificare l’esistenza di un contratto di rete tra distaccante e distaccatario». Ciò perché, per l’appunto, la sussistenza di un contratto di rete tra distaccante e distaccatario assicura per legge la presenza dell’interesse del primo, rendendo superflua e, soprattutto, non dovuta ogni ulteriore indagine. La presunzione assoluta di interesse riguarda, come detto, tutti i contratti di rete, purché siano presenti due condizioni: a) esistenza e legittimità del contratto di rete con i requisiti di cui al D. L. n. 5/2009 e s.m.i.; b) il distacco deve avvenire per lo svolgimento delle attività che le imprese hanno deciso di svolgere in comune e hanno indicato nel programma di rete. Se il distacco avviene per lo svolgimento di attività estranee al contratto di rete, si applicano le regole ordinarie di cui all’articolo 30, comma 1 e ss., D. Lgs. n. 276/2003. La legge di riforma del 2013 persegue, con ogni evidenza, l’obiettivo di favorire le esigenze di mobilità tra le imprese che sottoscrivono un contratto di rete. Detto ciò, è bene ricordare che la disciplina del distacco (e della codatorialità) appare destinata principalmente alle reti contratto, prive di personalità giuridica, perché i due istituti presuppongono la presenza di soggetti giuridici distinti mentre la rete soggetto di diritto costituisce un unico soggetto di diritto autonomo. Può essere utile, a questo punto della trattazione, fare due esempi concreti di utilizzazione del distacco presso le reti di impresa: a) in primo luogo, la formazione integrata in rete in cui il personale viene formato attraverso i normali percorsi di carriera nei diversi stabilimenti della rete, senza ostacoli derivanti dall’appartenenza ad un’azienda piuttosto che all’altra; b) viene poi in rilievo anche la sorveglianza sanitaria aziendale. Sappiamo che nelle imprese, soprattutto quelle manifatturiere, è necessario individuare le postazioni di lavoro che sono più consone alle esigenze di salute del personale. Ebbene, il distacco in rete amplia la possibilità di spostare il personale anziché limitarla agli stabilimenti di una sola rete, consentendo di ricollocare il dipendente con maggiore facilità tra tutti gli stabilimenti dei retisti. La codatorialità È bene precisare che, fino al 2013, la legge non prevedeva alcuna ipotesi di codatorialità. La giurisprudenza aveva però cominciato a parlare di «utilizzazione indifferenziata e contemporanea della prestazione lavorativa in favore di vari imprenditori» in alcune pronunce giurisprudenziali sui gruppi di impresa (per esempio, Cass. n. 11107/2006). Solo con il già citato art. 30, comma 4-ter, D. Lgs. n. 276/2003 la codatorialità appare per la prima volta in un testo normativo ed appare proprio con riferimento alle reti di impresa: «Qualora il distacco di personale avvenga tra aziende che abbiano sottoscritto un contratto di rete di impresa (…) per le stesse imprese è ammessa la codatorialità dei dipendenti ingaggiati con regole stabilite attraverso il contratto di rete stesso». Il Legislatore, però, si ferma qui e nulla ci dice sulla nozione e sui caratteri di codatorialità e sul suo funzionamento. Riteniamo quindi necessario ricostruire la codatorialità in base ai seguenti elementi: a) il concetto base di rapporto di lavoro in cui la prestazione lavorativa è dovuta da una o più persone (lavoratore) nei confronti di più persone (datori di lavoro); b) applicazione di questa nozione basilare alle reti di impresa. La ricostruzione del concetto di codatorialità può però partire da alcune indicazioni contenute nella già citata Circ. Min. Lavoro n. 35/2013: 1. «il potere direttivo potrà essere esercitato da ciascun imprenditore che partecipa al contratto di rete; 2. Sul piano di eventuali responsabilità penali, civili ed amministrative, e quindi sul piano della sanzionabilità di eventuali illeciti, occorrerà rifarsi ai contenuti del contratto di rete, senza configurare una solidarietà “automatica” tra tutti i partecipanti al contratto». Sulla base di quanto appena illustrato, possiamo tentare una prima definizione di codatorialità in rete come della utilizzazione della prestazione di uno o più lavoratori, in forma cumulativa e promiscua, a favore di due o più imprenditori appartenenti ad una rete di impresa che condividono il potere direttivo, secondo le modalità e le forme stabilite nel contratto di rete e in funzione del programma di rete. Questa definizione ci porta ad immaginare, insieme con autorevole dottrina (BIASI, Dal divieto di interposizione alla codatorialità: le trasformazioni dell’impresa e le risposte dell’ordinamento, Padova, 2014), due possibili modelli ricostruttivi della codatorialità nelle reti di imprese, uno alternativo all’altro: secondo una prima ipotesi, l’istituto in commento si basa su un contratto di lavoro tra un imprenditore in rete ed uno o più lavoratori, collegato al contratto di rete: in forza di tale collegamento il datore originario mette a stabile disposizione degli altri retisti i lavoratori in codatorialità, creando una pluralità di rapporti di lavoro collegati al primo. Tale modello ha il vantaggio di presentare una maggiore corrispondenza con i modelli ordinari di gestione del rapporto, potendo indicare il datore originario per tutti gli adempimenti burocratici collegati, a cominciare dalle comunicazioni obbligatorie ai Centri per l’impiego. Il secondo modello si basa invece su un contratto di lavoro contestualmente stipulato tra più imprenditori in rete e uno o più lavoratori, anche questo collegato al contratto di rete: un unico rapporto di lavoro condiviso tra più soggetti, meglio se con indicazione del datore incaricato per tutti gli adempimenti. Si tratta di una ipotesi probabilmente più vicina ad un modello di condivisione piena del lavoratore coassunto, con maggiori possibilità di imputazione della responsabilità solidale passiva tra i creditori datori di lavoro. In entrambe le ipotesi, riteniamo quanto segue. 1) in merito alla responsabilità passiva per crediti di lavoro: se nulla viene stabilito nel contratto di rete, si ha solidarietà passiva tra tutti i codatori, essendo comunque ammesse eventuali limitazioni convenzionali al regime di responsabilità solidale dei retisti purché scritte nel contratto di rete; b) in merito ad eventuali responsabilità penali, civili ed amministrative e conseguenti sanzioni: occorrerà rifarsi ai contenuti del contratto di rete, senza configurare una solidarietà “automatica” tra tutti i partecipanti al contratto (Circ. Min. Lavoro n. 35/2013). La codatorialità può funzionare bene solo qualora ci si preoccupi nel contratto di rete di ben individuare il criterio di distribuzione del potere direttivo nei confronti del lavoratore in codatorialità: le possibilità sono moltissime, di seguito proponiamo alcuni esempi: - metodo individuale: i codatori stabiliscono a chi fra essi spetti il potere direttivo prima dell’esecuzione della prestazione lavorativa e per tutta la durata della stessa; - metodo collettivo: i codatori stabiliscono i criteri (temporali, per caratteristiche della prestazione, ecc.) in base ai quali distribuire fra di loro il potere direttivo; - in base al primo: qui il lavoratore si libera eseguendo la prestazione proveniente dal datore che per primo ha dato la direttiva (criterio da considerare come regola di chiusura in caso di indicazioni contrastanti). Un’altra, importante, precauzione da adottare consiste nell’inserimento nel contratto di lavoro in codatorialità di una clausola idonea a creare un collegamento tra quest’ultimo contratto e il contraetto di rete, in modo da informare il lavoratore delle peculiarità del contratto di lavoro da sottoscrivere e raccoglierne il suo consenso. Concludiamo questa breve analisi ribadendo come il distacco e la codatorialità contribuiranno ad accrescere la capacità di innovare e di competere delle reti di imprese attraverso alcune importanti azioni, tra le quali ricordiamo: - formazione dei dipendenti interna alla rete; - maggiore efficienza ed elasticità della rete nella divisione del lavoro; - suddivisione dei costi tra le imprese in rete codatrici; - creazione, soprattutto nelle reti più grandi, di un vero e proprio “mercato interno del lavoro”; - salvaguardia dei posti di lavoro: “valore sociale della rete di imprese”.